L’allevamento contadino è stato per millenni il modello con cui gli animali venivano allevati in tutto il mondo.

Un modello in cui in ogni piccola o media realtà agricola esisteva anche l’allevamento di animali da cortile e di grossa e media taglia (bovini, suini, ovini, caprini eccetera) principalmente per scopi alimentari ma anche per il lavoro e la produzione di concime

Questo modello è andato una prima volta in crisi a partire dagli anni ‘50 del ‘900 con l’abbandono e lo spopolamento sistematico delle zone rurali per andare a lavorare nelle industrie e quindi inurbarsi.

Ha avuto un ulteriore momento di crisi a partire dalla fine del 20⁰ secolo a causa dell’invecchiamento della popolazione contadina in cui i primi ad essere sacrificati, per il carico elevato di impegno nella cura, sono stati proprio gli animali mentre in qualche modo le culture vegetali hanno continuato ad esistere anche grazie al lavoro part-time in cascina e il poter lavorare in altri ambiti.

Ora ci troviamo nel mezzo di una ulteriore grande crisi dell’allevamento contadino dovuta all’aumento spropositato dei costi di produzione e dell’impossibilità di vedersi riconosciuto un valore adeguato delle produzioni.

Inoltre i cambiamenti climatici, ed in particolare la perdurante siccità e l’aumento delle temperature, stanno mettendo a dura la tenuta dei nostri raccolti e della rese delle nostre produzioni.

L’ultimo censimento dell’agricoltura attesta come negli ultimi 20 anni in Italia sono state chiuse 447.787 aziende zootecniche pari al 68% del totale a fronte di un sostanziale mantenimento dei capi allevati (aziende zootecniche nel 2000= 661.771, nel 2010= 209.996, nel 2020= 213.984)

Questo dato oltre che essere drammatico per la chiusura di migliaia di stalle ci dice anche come proprio il modello dell’allevamento contadino stia per essere sostituito da un modello più intensivo e spesso industriale.

Il modello agroindustriale che sta sostituendo il nostro modello contadino porta con se interrogativi inquietanti per il futuro non solo dell’approvvigionamento del cibo di origine animale ma anche sull’impatto ambientale di questo cibo e sul valore delle produzioni.

Il valore delle produzioni dell’allevamento contadino è difficilmente riconosciuto e soprattutto tutte le esternalità positive quali il ciclo della fertilità non chimica, il mantenimento di produzioni tradizionali (a volte addirittura identitarie) e di qualità, la gestione del territorio attraverso il pascolamento e lo sfalcio di prati e pascoli, che preserva anche da frane e incendi e modella il paesaggio in modo tale da poter essere meta di importanti flussi turistici, sono tutti “valori” che non vengono adeguatamente remunerati.

Inoltre anche la preservazione di territori abitati dalle persone limita l’esplosione di fenomeni quali il rinselvatichimento dei campi con conseguente presenza insostenibile di animali selvatici.

Le produzioni dell’allevamento contadino sono chiaramente più costose, anche per la mancanza di infrastrutture di supporto, e quantitativamente più limitate e quindi non possono essere trovate nei supermercati. Acquistare prodotti di qualità confligge con la disponibilità economica delle famiglie limitata da una maggiore povertà

Se moltissime persone fanno più fatica ad acquistare i nostri prodotti e quindi a riconoscere indirettamente il valore del nostro lavoro d’altro canto non è possibile vivere con la sola illusione di produrre “cibo gourmet per i ricchi” che come sappiamo – oltre ad essere socialmente ingiusto – non possono sostituirsi ad una platea di persone che quotidianamente potrebbero alimentarsi con la nostra carne, formaggi ecc.

Anche i nostri decisori politici sembrano limitarsi a riconoscere la bontà di un comparto o filiera (come ormai siamo chiamati noi produttori) solo nel momento in cui produce grandi volumi o viene usata nell’export internazionale come moneta di scambio per occupare spazi di mercato nei confronti di altri prodotti esteri.

Aspettare che un prodotto qualunque esso sia dell’agricoltura diventi interessante solo nel momento in cui serve per imporre o affermare sul mercato internazionale il proprio nome o il proprio valore è una modalità che bisogna assolutamente contrastare.

Bisogna invece dare spazio importante ai prodotti dell’allevamento contadino che generano quelle esternalità positive di cui parlavo prima che non sono a volte facilmente quantificabili a livello finanziario, ma che sono la base e il contributo di un’economia agricola contadina che ancora oggi è la colonna portante della nostra produzione agricola nazionale e non è sostituibile con l’agroindustria, nemmeno con quella di “successo”:

Va quindi preservato ed incentivato proprio il modello contadino che è stato capace di creare nei millenni prodotti leggendari e che oggi sono a rischio.

Il paradigma “o cresci o muori” nei nostri posti non è possibile se non vogliamo fare un deserto delle nostre colline e chiamarlo modernità.

La presenza umana, il rispetto degli animali allevati, la produzione di piccola scala di qualità e la visibilità culturale e turistica cui danno origine gli allevamenti contadini per noi di ARI sono il futuro.

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