Riflessioni scaturite dall’incontro @ la Cooperativa La Viranda 20 Luglio 2024
a cura del gruppo vino di ARI Associazione Rurale Italiana
Dopo vent’anni di crescita in produzione e valore, il vino sta vivendo una crisi di consumi senza precedenti.
Alla Viranda abbiamo chiamato al confronto i viticoltori, ed hanno risposto giovani, vignaioli e cantinieri, agroecologici, cooperativi, agrituristici, che hanno capito che la questione del “terroir” non può ridursi ad un aspetto tecnologico o burocratico di basso profilo.
Insieme c’è stato uno scambio d’idee riguardo al futuro del settore e alle azioni politiche da intraprendere.
Ma è difficile guardare al futuro quando il presente è così incerto sul fronte dei prezzi di liquidazione delle uve, che da troppi anni non dà margine di quadagno, a cui si somma tutto il rischio d’impresa della crisi climatica, con annate siccitose o all’estremo opposto piovosissime.
Per un viticoltore, e un agricoltore in generale, lavorare sottocosto non è più sostenibile.
Abbiamo capito che vanno protette le DOC in termini di qualità e non di numeri, contro la speculazione, il marketing tossico e l’internazionalizzazione dei vigneti, e il paventato arrivo di nuove varietà resistenti o peggio vigne OGM create col genome editing (oggi in sperimentazione a San Floriano Verona), dove vengono meno storicità, buone pratiche, sostenibilità.
Che la sostenibilità dev’essere fatta in base alla zonizzazione con la selezione di aree di vera qualità – ad esempio negli ultimi anni le aree del fondovalle storicamente vocate a seminativo hanno sofferto maggiormente gli effetti dei cambiamenti climatici rispetto alla collina.
Magari sarebbe utile un piano strategico turistico, per valorizzare i territori, anzichè spendere milioni per la promozione nei paesi terzi.
Arrestare tutti gli accordi di libero scambio che hanno a che fare con l’agricoltura e la viticoltura in primis CETA e Mercosur.
Mettere un tetto massimo di contributi PAC a 100.000 € per azienda agricola per un’equa redistribuzione delle risorse pubbliche
Che per riequilibrare domanda e offerta bisogna ragionare sulla necessità di bloccare le rivendicazioni di nuovi impianti, e l’utilità di raddoppiare il tempo per il reimpianto dopo l’estirpazione (considerando anche l’emergenza della flavescenza dorata) affinché non scadano le autorizzazioni (che alimentano la riserva nazionale). Meglio ancora sarebbe reintrodurre il regime delle quote vino (non se ne riparlerà fino al 2050) con la relativa compravendita di diritti d’impianto che hanno caratterizzato il periodo più florido in quantità e valore delle vendite di vino negli ultimi vent’anni. O quantomeno trovare uno strumento per favorire il trasferimento diretto delle autorizzazioni dal viticoltore anziano a vignaiolo giovane, affinché il primo possa anche scegliere di cedere il diritto di piantare la vite senza vendere la terra (o regalare le sue quote dopo una vita di sacrifici) e poter decidere a chi passare il testimone favorendo un accesso alla viticoltura di piccola scala.
Abbiamo visto come la meccanizzazione abbia snaturato il vino, portando nella fase di raccolta troppi problemi in cantina che poi necessitano di cure chimiche ai mosti.
Guardare oggi a tecniche di gestione agroecologica (e non meccanica) fondata sui saperi tradizionali, appare la risposta più adatta a garantire la corretta gestione di un territorio, che rispetti la componente selvatica, il lavoro manuale con contadini numerosi e i diritti dei lavoratori agricoli, e che sia all’insegna di un’agricoltura diversificata in cui vi è anche (e non solo) la viticoltura.